Racconti di strada – Una rivoluzione chiamata Beatles
Cosa sono i racconti di strada? Sono brevi attimi di vita metropolitana carpiti con uno sguardo lanciato un po’ più in là della schermata dell’Iphone; storie vere inventate a partire da un sorriso o una risata; visioni improvvise che illuminano le mie giornate piene di autobus, metro e lunghe camminate a piedi.
Fare un salto nel passato. Credo che sia questa la definizione più giusta dell’esperienza che ho fatto mercoledì scorso andando a vedere il documentario di Ron Howard “The Beatles: Eight Days a Week“.
Anche se io sono una di quelle che alla fatidica domanda “Preferisci i Beatles o i Rolling Stones?” rispondo senza nessuna esitazione “Beatles!”, non mi si può certo definire una loro fan in senso stretto. Da un lato per un’ oggettiva distanza anagrafica dalla Beatlemania, dall’altro perché la musica che ascolto e prediligo di solito viene definita con condiscendenza “elettro-depressa”.
Detto ciò, i Beatles avranno sempre un posto nel mio cuore perché sono stati la colonna sonora dei molteplici viaggi in macchina della mia infanzia. Ricordo ancora perfettamente il momento in cui mia madre aveva scelto, in uno dei tanti autogrill della A13, una piccola cassetta bianca intitolata “The Beatles” e, una volta rientrata in macchina, aveva deciso che era il caso di farmeli ascoltare. Ancora non sapevo che erano gli” Scarafaggi” ( o meglio coleotteri, ma questa è un’altra storia!) ma quelle musiche mi piacquero moltissimo. Anche perché impedivano a chiunque stesse nell’auto di intrattenermi in conversazioni indesiderate! E questo pensiero che segretamente alimentava la mia richiesta di mettere la cassetta ogni volta che intraprendevamo un viaggio, potrebbe dirsi in linea con l’atteggiamento irriverente dei Fab Four!
Così, sostenuta da questi ricordi e dalla simpatia che ancora nutro per alcune delle loro canzoni, mercoledì sono andata con Alessandra a vedere il documentario.
Eravamo le uniche ad abbassare l’età media del pubblico in sala e questo ci ha fatto sentire in qualche modo delle intruse, ma quando è iniziata, dopo innumerevoli trailer, la proiezione le differenze generazionali sono sparite e tutto il pubblico si è sentito trasportare in un viaggio nel tempo dalla durata di due ore e mezza.
Vedere i video dei concerti in qualità HD, ascoltare le interviste risalenti agli anni ’60 e, soprattutto, seguire le dinamiche creative all’interno del quartetto mi ha fatto capire con estrema chiarezza il motivo per cui stiamo ancora parlando di loro.
John, Paul, George e Ringo erano dei ragazzi normali ma, a differenza delle successive boy band della storia, amavano quello che stavano facendo e soprattutto che lo stavano facendo insieme. Andare a un loro concerto o ascoltare un loro disco era come osservare un gruppo di amici di cui ti sarebbe piaciuto davvero fare parte e che, in qualche modo, sembravano essere lì apposta per te.
Anche se stavo vedendo un documentario ambientato negli anni ’60, la cosa incredibile è stata che la sala era invasa da un’atmosfera di freschezza e rivoluzione.
Rivoluzione intesa come un progredire spontaneo verso l’innovazione sia musicale che umana.
Non a caso la canzone omonima dice:
You say you want a revolution – Dici che vuoi una rivoluzione
Well, you know – Beh, sai
We all want to change the world – che tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Tou tell me that it’s evolution – mi dici che è evoluzione
Well, you know – Beh, sai
We all want to change the world – che tutti noi vogliamo cambiare il mondo
But when you talk about destruction – ma quando parli di distruzione
Don’t you know that you can count me out – non sai che puoi considerarmi fuori.
E, infatti, quando la freschezza dei quattro è venuta meno ed è iniziato il periodo della “distruzione”, gli stessi Beatles hanno messo un punto alla loro storia così come lo stesso Ron Howard ha deciso di concludere il suo film senza raccontare il dopo.
Le luci si sono riaccese, gli spettatori sono stati ricondotti al presente e la sala cinematografica si è svuotata. Ma, mentre ognuno di noi stava tornando alle proprie vite, la nostra memoria ha continuato a sognare quella Rivoluzione.
E io posso rispondere con più chiarezza alla domanda: “Preferisci i Beatles o i Rolling Stones?”.
“I Beatles, perché sono i primi”.
I primi a fare la Rivoluzione senza saperlo.
L.T.