I racconti della memoria: la “cummannera”

I racconti della memoria: la “cummannera”

 

La Cummannera alias la comandante, una storia d’amore e di rispetto.

Aveva i fianchi larghi, mia nonna. I fianchi larghi, il vitino sottile e una chioma scomposta che le sventolava sulle spalle come una bandiera: sembrava che quei ricci gridassero ogni volta “Viva la libertà!” e che una tromba accompagnasse la sua andatura decisa mentre attraversava la piazza del paese.

“Arriva la cummannera!”, ecco cosa sembrava dicesse il rumore del suo passo sulle pietre della piazza. E, in effetti, cummannera lo era per davvero: mai una volta che si mettesse qualcosa in testa e che non riuscisse a ottenerla in quattro e quattr’otto.

Tipo quella volta che non sopportava che mio nonno facesse la bella vita e che a mantenerlo lavorando nei campi dovessero pensarci lei, la madre e la sorella Angelina.

Non riusciva proprio a capire perché lui dovesse stare sempre ben vestito e con le mani impegnate al massimo a fumare una sigaretta con gli amici, mentre lei si spezzava la schiena con le altre due.

Mio nonno lo chiamavano il “principino”. Ma si sa che un principe con una cummannera ci ha poco da combattere, sarà sempre lei ad averla vinta.

Era stato un matrimonio d’amore il loro: lui le aveva rubato un bacio nella bottega di famiglia in cui lei lavorava e dopo pochi mesi si erano sposati.

Il primo vero guaio di quel matrimonio era stata la decisione di andare a vivere a casa della madre del nonno, cosa che ovviamente creava non pochi problemi a una donna la cui vera attitudine era quella del comando. Le leggi in quella casa erano quelle della madre del principino e la cummannera non aveva altra alternativa che accettarle con un sospiro scontroso e ben udibile.

Ciò che veramente la faceva soffrire era poi la mancanza di cura per l’igiene domestica: sembrava che in quella casa fosse alquanto irrilevante e la cosa più importante era la sveglia presto la mattina per andare a controllare che le mucche stessero bene. Le mucche? Mia nonna veniva da una famiglia numerosa e l’idea di pensare alle mucche prima che agli esseri umani le suonava come un’eresia.

Ma il principino era bello e, di conseguenza, i suoi moti di ribellione trovarono un bel rivale contro il quale lottare: l’amore.

Così la cummannera tentò di controllarsi: i suoi ricci scomposti si nascosero sotto un fazzoletto e i suoi sospiri scontrosi trovarono come pubblico privilegiato proprio quelle mucche che tanto le sembrava strano accudire.

Solo che più passava il tempo, più non capiva perché il principino dovesse starsene sempre con le mani in mano. Le cose peggiorarono ulteriormente quando nacque mio zio: “Ti pare che in una casa con un picciriddo non si debba tenere tutto pulito?”

Nonna non si capacitava proprio di questa mancanza di attenzione per l’igiene. Mica stavano nel Medioevo! Beh, in effetti tra mucche, stalle, donne zitte e mute e principini la sua situazione poteva sembrare alquanto medievale. O, almeno, questo era quello che pensava la cummannera, le altre donne del paese non si sarebbero poste minimamente il problema. Piuttosto avrebbero messo la firma per avere un marito con gli occhi color del cielo come il suo! Ma i ricci di mia nonna non erano d’accordo e premevano contro la stoffa del fazzoletto per liberarsi da quella costrizione e tornare a sventolare sulle sue spalle come una bandiera.

Così un sospiro, un giorno, un rimbrotto, un altro, e presto la cummannera iniziò a esprimere a chiare lettere la sua insoddisfazione. Insoddisfazione che non trovava eco né nella madre né nella sorella del principino, che anzi guardavano con riprovazione quella donna che con tanta tenacia si scagliava contro il maschio della famiglia. Che intenzioni aveva? Che si quietasse o andasse da un’altra parte a fare la rivoluzione! Quelle erano le abitudini delle madri delle loro madri e non sarebbe certo stata una nuvola di ricci scomposti a fargliele cambiare, né tantomeno le avrebbe convinte a criticare il comportamento del loro pupillo. Così tanto la bisnonna aveva aspettato un figlio maschio che avrebbe giurato pure sotto tortura che quello era un uomo speciale e meritava di essere portato in palmo di mano.

Il principino, forte di questo sostegno familiare e in parte convinto che fosse comportamento virile fare orecchie da mercante alla richieste della moglie, sembrava totalmente disinteressato a quel che lei gli diceva.

Da un lato i privilegi di cui godeva erano così piacevoli che rinunciarvi sarebbe stato un dispiacere, dall’altro non capiva se quelli della moglie fossero semplici capricci o bisogni irrinunciabili. Certo era che sentirsela ogni giorno a ripetere le stesse cose, lo stava innervosendo in misura sempre crescente. Le mogli dei suoi amici stavano sempre zitte e mute, perché la cummannera non poteva seguire il loro esempio? No, evidentemente non poteva e, quel che peggio, nemmeno voleva! Più i giorni passavano più le richieste si facevano articolate e perentorie. Adesso voleva addirittura che aprissero insieme un negozio di vestiti! Potevano andare una volta al mese a Palermo per parlare con i fornitori, sulle prime avrebbero utilizzato la macchina di suo padre ma poi piano piano avrebbero potuto permettersi una macc…

“Zitta! Devi stare zitta!”

Lo schiaffo arrivò inaspettato sulla guancia della cummannera che lo guardò sorpresa come se ancora non avesse realizzato quello che era appena successo. Il fazzoletto si era spostato liberando i ricci che adesso ricadevano sulle sue spalle vibrando al ritmo del suo respiro. Le guancie impallidirono e le labbra si serrarono in una smorfia strana che ricordava quella di una lupa mentre studia la preda da attaccare. Ma furono gli occhi a sconvolgere il nonno, brillavano di una luce che sembrava gridare da quanto splendeva su quel volto esangue. Quanto era bella, la sua cummannera! Così viva e pronta a lottare…

Ma mia nonna non fece niente. Gli girò le spalle e andò a cullare mio zio che nel frattempo si era svegliato. Non disse una parola per tutta la sera: aiutò la suocera a cucinare, rigovernò insieme alla cognata Angelina e non gli rivolse nemmeno un’occhiata veloce. Chissà cosa stava pensando?

E, in effetti, la cummannera a qualcosa stava pensando e più ci pensava e più si convinceva che era la scelta migliore.

Così, in silenzio, si mise ad aspettare. Aspettò che il principino uscisse per il solito liquore con gli amici, aspettò che la suocera e la cognata andassero a dormire, aspettò che sulla casa arrampicata sulla roccia vicino al castello scendesse la notte.

Poi svelta svelta prese il figlioletto, se lo legò alla vita con una sciarpa e, cercando di non fare rumore, spalancò la finestra della sua camera da letto. Non era molto in alto. Ciò che la preoccupava era la roccia sulla quale era costruita la casa: poteva essere scivolosa e la cummannera da quell’avventura voleva uscire più viva che mai, non ci pensava nemmeno a sciddicare[2] portandosi appresso il bambino.

Si fece il segno della croce, acchiappò il lenzuolo che aveva legato al letto e si calò.

Ancora oggi mia nonna non sa dirmi come riuscì a spirugghiarsela[3]; fatto sta che, in piena notte, la sua famiglia se la vide spuntare a casa senza neanche un graffio e con il bimbo addormentato in braccio.

Lo scandalo della fuga notturna della cummannera sorse insieme alle prime luci dell’alba: tutti in paese si chiedevano cosa le fosse saltato in testa per andarsene così e abbandonare il tetto coniugale in piena notte. Cose da matti!

Fatto ancor più grave, sussurravano le donne, era che a quanto pare mia nonna non aveva nessuna intenzione di tornare con il marito. Anzi professava che avrebbe chiesto il divorzio e avrebbe cresciuto il bambino da sola. Tutto questo, sostenuta e appoggiata dalla sua famiglia di origine che, a quanto pare, l’aveva accolta senza neanche fiatare.

Il paese era sconvolto. Il principino era andato a riprendersela ma era tornato a casa con la coda fra le gambe e una strana espressione sul volto, qualcosa che raccontava una storia di amore e, in qualche modo, di rispetto. Infatti dalla sua bocca non uscì neanche una parola di rimprovero o di biasimo nei confronti della moglie fuggitiva.

Questa, intanto, aveva ripreso ad attraversare la piazza del paese con i riccioli scomposti che sbandieravano sulle sue spalle e il passo deciso che sembrava quello di un brigadiere. Mancavano solo la grancassa e le trombe e sarebbe sembrato il passaggio di un eroe appena tornato dalla guerra, tanto sembrava vittoriosa mentre procedeva per la sua strada.

Ma mia nonna è mia nonna e per essere lei mia nonna e il principino mio nonno qualcosa deve essere successo. La leggenda vuole che, a un certo punto, la cummannera si ritrovò il marito in ginocchio sulla piazza con un paio di chiavi in mano e la licenza per aprire un negozio di vestiti nell’altra. Su questa resa leggendaria del marito, inoltre, i testimoni sono discordanti: c’è chi dice che era domenica mattina e chi, invece, racconta che era il giorno di ferragosto e fosse presente perfino il parroco.

Ad ogni modo, i fatti storici attestano anche della nascita di una bambina il 4 settembre 1951, ossia nove anni dopo dei fatti qui narrati, e guarda caso quella bambina sarebbe poi diventata mia madre. Dunque sia che fosse stato di domenica sia che fosse stato di ferragosto una sorta di patteggiamento tra i due deve esserci stato. E, alla fine, ritengo che sia più importante il risultato: anni e anni insieme a fare scorribande per Palermo con i ricci della cummannera che non tornarono mai più sotto un fazzoletto e, fino a tarda età, si mossero sulle sue spalle gridando “Viva la Libertà!”.

L. Tedesco

[1] Cummannera: comandante.

[2] Sciddicare: cadere, scivolare.

[3] Spirugghiarsela: cavarsela.

 

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