Musica e cinema in Pasolini: Bach e l’Accattone

Musica e cinema in Pasolini: Bach e l’Accattone

Sono da sempre innamorata di Pasolini. Quel tipo di Amore totale ed incondizionato tale che rende anche le idiosincrasie dell’oggetto amato bellissime. Anzi a volte anche motivo fortissimo di stupore ed incanto.

Come il suo utilizzare nei film la musica di Bach. Mi ricordo chiaramente il mio restare in stato di meraviglioso, fluttuante sbalordimento all’ascoltare Bach mentre si susseguivano le avventure di “Accattone“, il primo film di Pasolini che vidi.

Scoppiato questo mio Amore deflagrante e continuando a vedere tutti i suoi film, mi resi conto che Bach era onnipresente, con qualche sfumature di Vivaldi e Mozart.

Bach era ovunque e ripetutamente nell’arco di una stessa opera, a dipanarsi come un filo conduttore del film stesso.

La folgorazione per Bach nasce in Pasolini quando, nel settembre 1943, si rifugia a Casarsa, paese natale della madre. Lì conosce Pina Kalc, violinista slovena, anch’essa rifugiata a Casarsa in quei momenti tragici della guerra, con cui si istaura subito un rapporto di forte reciproca empatia.

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E’ a lei che Pasolini deve la scoperta di Bach, per l’esattezza tramite serie delle Tre Sonate e Tre Partite per violino solo (BWV 1001-1006).

Facendo un piccolo passo indietro nel tempo, cioè nel 1936, scopriamo che Pasolini aveva qualche rudimento musicale, avendo studiato violino per qualche tempo, ma va specificato che come conoscenze sue proprie restò nei binari dei compositori più noti, non protraendo molto lo studio dello strumento.

Grande apporto al suo approfondimento musicale gli venne dall’amica Elsa Morante, che invece si intendeva finemente di Musica e con cui si confrontava per la scelta dei brani da utilizzare nelle colonne sonore, nonché lo istradava ad ascolti classici nuovi per lui.

Inoltre fu a suo modo un pioniere dell’etnomusicologia, utilizzando, insieme a Bach, la musica popolare dei luoghi delle civiltà musicali extraeuropee (quando in Italia regnava il più totale eurocentrismo nei Conservatori, che portava ad etichettare questa come “musica dei selvaggi’’!!!).

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Ma, tornando al suo legame preferenziale con Bach, ma che possiamo allargare ad una parte della Musica Classica, possiamo indubbiamente dire che lo utilizza per la sacralizzazione del sottoproletariato.

In “Accattone” è proprio la musica ad innalzarlo, come povero Cristo, pappone di borgata, dalla miseria in cui lui e la sua gente si trovano confinati; è la musica che lo innalza al sacro, al cielo in punto di morte, togliendolo dalla povertà e dalla miseria in cui ha sempre vissuto. Pasolini stesso diceva che Bach lo aveva aiutato a fare comprendere che ‘nella degradazione di Accattone c’è il Sacro’.

I titoli di testa, in cui già troviamo il Coro finale della Matthäus Passion, che è il vero e proprio Leit-Motiv del film, si chiudono con alcuni endecasillabi del Purgatorio dantesco:

l’angel di Dio mi prese e quel d’inferno

gridava: “O tu del Ciel, perché mi privi?

Tu te ne porti di costui l’eterno

per una lacrimetta che’l mi toglie

[Purg. V 104-107]

Perché Pasolini non voleva lasciare alcun dubbio ai fraintendimenti, ma anzi necessitava che fosse chiara la sua volontà di sacralizzare coloro che vengono marginalizzati ed oppressi.

Anche negli altri suoi film vi è lo stesso accostamento, ma ho voluto prendere Accattone come esempio massimo dell’effetto straniante e maestoso che produce questa vicinanza apparentemente così distante (e che procurò feroci critiche dai musicologi e critici musicali al suo manifestarsi. Ma si sa che il ‘nuovo’ produce sempre scompiglio e che da che mondo è mondo vale il detto che ‘chi sa fare fa; chi non sa fare e non fa critica’).

Per oggi vi saluto con le splendide, emozionanti parole di Laura Betti, amica e spesso Musa di lui, con cui racconta magnificamente il mondo di suoni e silenzio che abitava l’interiorità di Pasolini:

 ‘Il silenzio di Pier Paolo era particolare, bizzarro. Popolato di ritmi segreti, racconti di vita, vita, vita. Che invadevano il suo corpo immobile e mai fermo. […] E ogni attesa, ogni rivelazione suonava una musica ben precisa, mai casuale. Quella musica e non quell’altra. Direi quasi che il suo vivere in silenzio altro non era se non una necessità, per non perdere nessuna nota, nessun violino, nessun flauto magari nascosti dietro ad un camion, in un prato in mezzo alle pecore o davanti ad una scrivania pulita con mucchi di bella carta bianca da riempire o nella macchina ferma davanti ad un passaggio a livello. La musica lo intimoriva, lo possedeva completamente. Spesso la chiamava «Sua mae­stà!» E perché tutto fosse musica, era riuscito a convincere Mozart e anche Bach che Amado mio era una bellissima canzone e anche Con ventiquattromila baci e anche, e anche…’

Laura De Santis

 

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