Psicologia da Oscar: quali sono i temi dei film in nomination

Psicologia da Oscar: quali sono i temi dei film in nomination

Quali sono gli argomenti che hanno maggiormente colpito l’Accademy? La serata dell’Oscar è alle porte. Vediamo quali sono le pellicole candidate come miglior film e soprattutto quali sono le tematiche psicologiche che hanno colto nel segno.

Forse potremmo non essere d’accordo su tutte le nomination (ben nove film in lizza per il premio più ambito del settore) eppure da questo mio tentativo di delineare le tematiche psicologiche dei film candidati, probabilmente troverete delle similitudini e qualche spunto.

Siano temi che rispecchiano maggiormente la sensibilità della Giuria oppure il contesto storico e sociale che stiamo vivendo,  sono tutti argomenti  che sondano le questioni a noi più vicine e per questo meritevoli di attenzione e riflessione.

Prima di entrare nel vivo della questione devo avvertirvi di due cose. Come si dice, Spoiler  alert: pericolo “moderato” a dire il vero, ma per chi ama godersi il film senza alcuna anticipazione vi consiglio di saltare i titoli che ancora non avete visto. Secondo, purtroppo mancheranno tre film candidati e che ritengono molto interessanti: The Post, Get Out e Il filo nascosto. Conto di rimediare a questa mancanza, soddisfare la mia curiosità verso questi due bei film e commentarli al più presto.

Dovute premesse, fatte. Quindi vediamo i miglior film candidati agli Oscar 2018.

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LA FORMA DELL’ACQUA di Guillermo del Toro

Un titolo che è già una poesia, La forma dell’acqua racconta una romantica storia tra Elysa, una donna muta, interpretata da Sally Hawkins, e un umanoide acquatico catturato dal governo e vittima di esperimenti e maltrattamenti. In questa fiaba moderna, tra “principesse spodestate”, divinità di paesi lontani e  outsider si consuma la parabola umana: le minoranze, gli emarginati, si scontrano contro il potere e l’autorità. Una lotta silenziosa, senza parole, quella di Elyza che non pretende più di quel che ha già, almeno fino all’incontro con la creatura.

Come l’acqua che assume la forma del recipiente che la contiene, così i personaggi descritti in questa favola lottano per adattarsi. La storia di Elyza e le storie parallele che vengono sviluppate –  di Giles (Richard Jenkins) il vicino omosessuale e di Zelda (Octavia Spencer) afroamericana ignorata dagli uomini della sua vita- descrivono la lotta per rendersi visibili agli occhi dell’altro, per adattarsi al contesto/contenitore nel quale sono inseriti. Qui il mostro che solitamente rappresenta la più cupa e profonda paura del protagonista riflette solamente la paura degli altri nei confronti del diverso, non a caso nel film solamente “i diversi” possono capire e riconoscere la bellezza del mostro marino. Come non fare un parallelo tra mostro e diversità: chi è diverso si sente ed è visto dalla società come un mostro perché temuto e tenuto ai margini. La forma dell’Acqua ci invita ad accogliere la bellezza della diversità, superandone la paura.

 

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L’ORA PIU’ BUIA di Joe Wright

Passiamo ora alle tinte più oscure di questo film sull’ora più buia che hanno vissuto un uomo, una nazione, un continente intero; l’ora che ha deciso le sorti politiche dell’Europa. Una decisione che grava sulle spalle di una grande mente dell’epoca, grande politico e statista, Winston Churchill, figura di spicco della politica che Hitler stesso temeva. L’ora più buia è quella finestra temporale che precede la ripresa e l’evoluzione ad una nuova fase. Come non fare una parallelo con il periodo di crisi che l’occidente sta attraversando? Churchill (Gary Oldman) si trova solo nella sua decisione e in lotta contro il gabinetto: scendere a patti con il nemico o tentare il tutto per tutto con l’operazione Dynamo e salvare i propri soldati dalla spiaggia di Dunkirque? La decisione avrà un peso politico non indifferente per le sorti dell’Europa. Anche qui l’uomo è lasciato solo di fronte decisioni così gravose e i movimenti di camera che passano da una ripresa stretta sul singolo individuo ad una visione panoramica della situazione sottolineano la piccolezza dell’uomo e l’imponenza dell’evento che sta vivendo.

L’ora più buia è un film sulla Volontà e tenacia di un uomo, ma è anche un film sulle due donne che lo circondano: la moglie (Kristin Scott Thomas) e la sua stenografa (Lily James). Ed è qui il leader. Egli si avvale dell’opinione di chi gli è accanto e del parere del popolo, l’unico modo per affrontare l’ora più buia del suo mandato, l’incertezza e le difficoltà che la carica gli impongono. Chi è il leader? La parola e il pensiero vengono prima delle bombe e dei cannoni. In questo periodo storico privi di leader saggi e carismatici, L’ora più buia, ci ricorda che la Volontà va esercitata con la sapienza di guardare al futuro e con il coraggio delle proprie idee.

 

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TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh

Un’altra lotta contro lo status quo, un’ altra donna al comando di questa battaglia nelle vicende raccontate senza nessuno sconto da Martin McDonagh. Tre Manifesti a Ebbing Missouri ci introduce ad un nuovo argomento: la forza e la violenza della rabbia. Quando si è vittime si hanno due strade, si può avere la saggezza di accettare la situazione oppure si può mostrare il coraggio di voler cambiare ciò che non va. Capire il confine tra queste due non è facile e questa storia si consuma in una lotta di confine: bene e male sono materie complesse e roventi da trattare. Tutto inizia dai tre manifesti pubblicitari voluti da Mildred (Frances McDormand) come atto di protesta nei confronti della negligenza della polizia che indaga sull’omicidio e stupro della figlia. Tre Manifesti che sconvolgeranno la monotona cittadina di Ebbing e accenderanno un faro su ciò che accade sotto i loro/nostri occhi. Tre manifesti che hanno il potere di attirare l’attenzione laddove si vorrebbe distogliere: la violenza e brutalità umana. Brutalità resa anche registicamente e narrativamente attraverso scene violente improvvise che lo spettatore non può evitare. Benvenuti a Ebbing, cittadini/spettatori di violenza e indifferenza.

Il film è una storia violenta perché violente sono le emozioni che agitano e spingono i personaggi della storia. Una piccola cittadina del Missouri, una piccola realtà al cui interno vivono tsunami emotivi pronti a fare il vuoto intorno a sé. Il film esplora a tutto tondo la rabbia e l‘impotenza: rabbia verso l’indifferenza, rabbia verso il diverso, rabbia verso l’autorità, rabbia verso la vita quando arriva la malattia. La violenza e la vendetta non sono altro che disperati tentativi di reagire all’impotenza per non sentirsi inermi e disarmati di fronte la vita, alla ricerca di una giustizia, qualsiasi essa sia,  che ci farà sentire al sicuro. Pochi e brevi momenti di solidarietà aprono lo spiraglio verso un’umanità ancora possibile: condividere una battaglia forse è l’unico modo per sentirsi meno soli e nutrire ancora speranza?

 

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LADY BIRD di Greta Gerwig

Ieri vi parlavamo di Greta Gerwig, regista e sceneggiatrice di Lady Bird, in questo articolo. Ora vi parleremo del tema portante del film. Lady Bird è il soprannome della protagonista (Saoirse Ronan) che rifiuta di presentarsi con il suo vero nome, Christine, ha 17 anni e sogna di fuggire dalla piccola cittadina di Sacramento e andare il più lontano possibile…dalla madre. Sì perché il film racconta del rapporto tra madre e figlia nel processo della separazione. La protagonista si trova in un’età di passaggio, a dover decidere il College, a dover confrontarsi con le prime esperienze sessuali e i primi amori, ad affermare se stessa e voler emergere da una piccola cittadina per lei soffocante. La madre è un’infermiera “dal cuore d’oro”, ma con la figlia è critica, pressante e le fa pesare i soldi che per lei spende rimproverandola di ingratitudine. Nei dialoghi si parla spesso e con una certa morbosità di soldi e differenza di classe, avvertiti come un fardello dalla madre e dalla figlia. Eppure Lady Bird riesce a liberarsi dalle ostruzioni e lasciare il nido così come il suo soprannome vuole augurarle.

Il film si gioca sulla tensione vissuta per la separazione dalla figlia e la perdita di un po’ di potere sulla vita dei propri figli. I soldi così diventano un tentativo maldestro per tenere a sé l’affetto della figlia, ottenere la sua riconoscenza non accentando la realtà della separazione e della tristezza che questo comporta. Solo vivendo la separazione le due donne potranno comprendersi.

 

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CHIAMAMI COL TUO NOME di Luca Guadagnino

Un altro diciasettene tra i personaggi dei film in nomination per miglior film. Questa volta siamo in Italia, Elio (Timothée Chalamet) trascorre con la sua famiglia una di quelle estati senza fine tipiche dell’adolescenza. Un’estate all’insegna della scoperta di sé senza alcun pregiudizio, del proprio corpo, dell’erotismo e appartenenze ebraiche e non solo. Un film sul piacere e la tensione sessuale, ma anche sulla fine dell’estate e la perdita del primo amore.  La scoperta dell’amore, del perdersi nell’altro perdendo il proprio nome. E’ anche la scoperta del  finire di un amore e del violento tornare ad essere semplicemente se stessi mentre dell’altro ne rimane solo il ricordo e il nome impresso. Come non ricordare i due momenti che segnano la tematica (no, non mi riferisco alle pesche): il dialogo con il padre dopo la separazione e il confronto con la realtà nella scena finale.

Qui, al contrario di Lady Bird, non c’è uno scontro generazionale, non ci sono incomprensioni, ma parole sagge dette da un padre che sa vedere oltre e insegna il valore dell’esprimere la propria sensibilità non temendo la sofferenza: “Stai male e ora vorresti non provare nulla, forse non hai mai voluto provare nulla, ma ciò che ora provi io lo invidio… Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta, così tanto che a 30 anni siamo già prosciugati e ogni volta che ricominciamo una nuova storia con qualcuno diamo sempre di meno, ma renderti insensibile così da non provare nulla, è uno sbaglio…”

Il film ci lascia questo importante messaggio: tutte le volte che evitiamo e soffochiamo l’emozione, perdiamo qualcosa di noi.

Dunkirk

DUNKIRK di Christopher Nolan

Ripiombiamo nella Seconda Guerra Mondiale e nella spiaggia di Dunkirque, questa volta la storia è raccontata da tre punti di vista diversi, di chi ha dato la vita su quella spiaggia.  Nolan riesce a rendere la tensione e la paura di poter morire in qualsiasi momento. Nessuno è al sicuro e tutti sono chiamati a dare una mano. Di questo film vi abbiamo già parlato dal punto di vista delle tematiche psicologiche in questo articolo. Vi rimando quindi all’articolo per leggere la sua tematica principale: la paura dell’uomo di fronte la morte e le tre strategie per affrontarla riflesse nei tre personaggi/protagonisti di Dunkirk.

La mia rassegna dei film e dei rispettivi temi psicologici trattati per oggi si ferma qui. Fateci sapere che ne pensate. Secondo voi quale tra i film in nomination rispecchia maggiormente il concetto di Resilienza Creativa?

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Alessandra Notaro

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