“Una nave porta in sè l’orma di tutti i tramonti” di Antonia Pozzi

“Una nave porta in sè l’orma di tutti i tramonti” di Antonia Pozzi

21 anni e contenere in sé tutto il sentire umano. Questo penso sempre quando rileggo questa Poesia di Antonia Pozzi: la sua totalità di percezione che deflagra la sua anagrafe piccola.

Infatti ci sono anche le sue Poesie, scritte a soli 17 anni, che sono incredibili nell’incisività e nitidezza.
Non mi stancherò mai di ribadire che le antologie letterarie in uso nelle scuole sono obsolete e quindi di conseguenza inadeguate nel rappresentare il panorama reale dello scrivere. Se è vero che è relativamente recente una maggiore quantità di Poetesse e scrittrici (per l’Italia partiamo certamente dal 1920 circa) è altrettanto vero che ora, a distanza di un secolo, ancora non le troviamo inserite, e quindi studiate- o almeno rese note-, nelle antologie scolastiche ed è un’ingiustizia profonda e dolorosa.

Leggi anche: Perdersi per ritrovarsi nella belllezza

Sì, dolorosa. Perché, fermo restando che l’Artista Autentico si eleva al di là del suo sesso e l’universale ingloba nell’umano, un rispecchiamento per le studentesse-giovani donne sarebbe linfa potentissima che darebbe loro esempi fulgidi a cui guardare.



Questa Poesia di oggi è un miracolo di Potenza e Bellezza. Antonia Pozzi parla di se stessa come nave, sottoposta ai dolori, alle tempeste, alle avventure del mare della vita, richiama anche il sole che la brucia, la furia degli elementi che sono metafore splendide delle prove a cui la vita sottopone l’essere umano, guardando al porto come luogo di riposo e pace, come una culla in cui troverà ristoro. Il mio spiegarvi i versi è appena un accenno, perché la Bellezza di questa Poesia è incontenibile nel piccolo.
Provate a leggerla ad alta voce, soprattutto in quelle giornate in cui la vita sfibra e stanca, e ne sentirete l’immensa forza.

Il porto di Antonia Pozzi

Io vengo da mari lontani –
io sono una nave sferzata
dai flutti
dai venti –
corrosa dal sole –
macerata
dagli uragani –

io vengo da mari lontani
e carica d’innumeri cose

disfatte
di frutti strani
corrotti
di sete vermiglie
spaccate –
stremate
le braccia lucenti dei mozzi
e sradicate le antenne
spente le vele
ammollite le corde
fracidi
gli assi dei ponti –

io sono una nave
una nave che porta
in sé l’orma di tutti i tramonti
solcati sofferti –
io sono una nave che cerca
per tutte le rive
un approdo.
Risogna la nave ferita
il primissimo porto –
che vale
se sopra la scia
del suo viaggio
ricade
l’ondata sfinita?

Oh, il cuore ben sa
la sua scia
ritrovare
dentro tutte le onde!
Oh, il cuore ben sa
ritornare
al suo lido!

O tu, lido eterno –
tu, nido
ultimo della mia anima migrante –
o tu, terra –
tu, patria –
tu, radice profonda
del mio cammino sulle acque –
o tu, quiete
della mia errabonda
pena –
oh, accoglimi tu
fra i tuoi moli –
tu, porto –
e in te sia il cadere
d’ogni carico morto –
nel tuo grembo il calare
lento dell’ancora –
nel tuo cuore il sognare
di una sera velata –
quando per troppa vecchiezza
per troppa stanchezza
naufragherà
nelle tue mute
acque
la greve nave
sfasciata –

20 febbraio 1933

Leggi anche Il porto sepolto di Ungaretti

Laura De Santis

Offri un caffè all’autrice



 

Rispondi