Philip Roth: “Il libro della mia vita è un libro di voci”
Philip Roth, lo scrittore prolifico, proteiforme e spesso caratterizzato da umorismo nero, è morto martedì sera in un ospedale di Manhattan. Figura eminente nella letteratura del Ventesimo secolo, aveva 85 anni.
Descritto spesso come un “narratore senza paura di sesso, religione e mortalità”, lo scrittore è deceduto a causa di un’insufficienza cardiaca.
Nel corso di una lunghissima carriera, Roth ha assunto molte sembianze – principalmente versioni di se stesso – nell’esplorazione di cosa significhi essere un americano, un ebreo, uno scrittore, un uomo. È stato uno dei campioni della Letteratura Occidentale e un appassionato studioso di Storia e Cultura Americana. E più di ogni altro scrittore, a lui contemporaneo, era instancabile nell’esplorazione della sessualità maschile. Le sue creazioni includono Alexander Portnoy, un adolescente così libidinoso che fa sesso sia con il suo guantone da baseball che con la cena di famiglia, e David Kepesh, un professore che si trasforma in un enorme seno femminile di 70 chili.
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Nei suoi sessanta anni, un’età in cui molti scrittori mettono un fermo alla propria produzione letteraria, ha prodotto un’eccezionale sequenza di romanzi storici – Pastorale americana, La macchia umana e Ho sposato un comunista -da considerarsi prodotto del suo personale ritorno a interessarsi a temi americani. E a partire da Everyman nel 2006, all’età di 73 anni, ha mantenuto un ritmo incessante di un libro all’anno, pubblicando opere che, sebbene non necessariamente importanti, erano tuttavia fieramente intelligenti e fortemente osservate.
Il loro tema, in un modo o nell’altro, erano le devastazioni dell’età e della mortalità stessa e, nel pubblicarli, Roth sembrava provocatoriamente il suo personale declino dovuto all’avanzare dell’età.
Già solo da questi brevi accenni alla sua carriera sterminata, ci rendiamo come lo scrittore fosse caratterizzato da un’energia sterminata e di come la sua vita sia stata una lotta attiva “con la scrittura”.
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Proprio per questo e perché non ci piace che uno scrittore venga ricordato senza che si ascolti la sua voce, abbiamo pensato di lasciarvi direttamente alle sue parole e alle sue considerazioni sull’esistenza.
Oggi, ogni tanto, voltandomi indietro, ripenso alla mia vita come un lungo discorso che ho ascoltato. La retorica a volte è originale, a volte piacevole, a volte inconsistente (il discorso dell’incognito) a volte maniacale, a volte pratica, a volte come l’improvvisa puntura di un ago, e io l’ascolto da tempo immemorabile: come pensare, come non pensare; come comportarsi, come non comportarsi; chi detestare e chi ammirare; cos’abbracciare e quando scappare; cos’è entusiasmante, cos’è massacrante, cos’è lodevole, cos’è superficiale, cos’è sinistro, cos’è schifoso, e come restare un’anima pura. Si direbbe che parlare con me non sia un ostacolo per nessuno. Questa forse è una conseguenza del mio essere andato in giro per anni con l’aria di chi aveva un gran bisogno che qualcuno gli rivolgesse la parola. Ma qualunque ne sia la ragione, il libro della mia vita è un libro di voci. Quando mi chiedo come sono arrivato dove sono, la risposta mi sorprende: “Ascoltando”.
L.T.
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