“L’arminuta” di Donatella di Pietrantonio, una storia di legami
Quali fattori rendono padre un uomo e madre una donna? Il sangue? L’amore? L’educazione? Queste le domande che nascono leggendo “L’Arminuta”.
Il peso specifico dell’uno o dell’altro elemento non sempre certifica un legame genitoriale forte e autentico. In alcuni casi tali relazioni sembrano avvolte da una insondabile nebulosa affettiva.
Leggiamo storie, non molto lontane dalla realtà, che squarciano la carne della nostra coscienza. Narrazioni che provocano profonde ferite emotive. Ne derivano cicatrici sentimentali difficili da camuffare, segni tangibili di vissuti dolorosi ed esperienze relazionali destabilizzanti.
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Ne l’Arminuta, la “ritornata” in dialetto abruzzese, la catena di eventi adolescenziali, narrati dalla protagonista in età adulta, pongono quesiti complessi anche nella formulazione. Ne consegue, necessaria, una riformulazione in chiave più semplicistica: una sequela continua di interrogativi scuotono la morale e non lasciano spazio a giustificazioni di sorta.
Una fanciulla di cui non conosceremo mai il nome, quasi a sottolinearne l’indefinita appartenenza genealogica, viene improvvisamente riconsegnata dalla benestante famiglia adottiva alla numerosa ed indigente famiglia d’origine che, con sguardo indifferente e insofferente, l’accoglie in un ambiente spartano e affettivamente sterile.
Alla ricerca, fin dal primo giorno della sua nuova vita, di una giustificazione plausibile in grado di spiegare l’allontanamento imposto dagli unici genitori conosciuti, questa intelligente e tenace ragazzina vivrà giorni segnati da una spietata intermittenza di sentimenti. Quelli tristemente ambigui di chi, pur avendola desiderata ed accolta, l’ha nuovamente abbandonata e quelli ruvidi e noncuranti di chi, piegato dalle asperità della vita, l’ha rifiutata ancora in fasce.
La ricostruzione degli antichi e legittimi legami famigliari passa, necessariamente, dalla presa d’atto di una identità differente da quella fino ad allora posseduta. Un’identità genetica che non fa sconti alla durezza di comportamenti poco rispettosi dell’animo umano e alla crudezza di atteggiamenti insensibili all’emotività vissuta in precedenza senza riserva o pudore alcuno.
Genitori avari di attenzioni e fratelli gelosi delle poche risorse disponibili abitano una casa in cui vige la legge naturale della sopravvivenza e dell’egoismo del sostentamento. Un nido in cui nutrirsi di amore e affetto è un lusso troppo caro da concedersi.
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L’incredulità iniziale della novità parentale diventa, però, stimolo per la rivendicazione del diritto di essere figlia, di affermare l’appartenenza amorosa verso chi, brutalmente, non ha più garantito protezione e sostegno nella crescita. La rabbia che ne consegue scatena reazioni e gesti di rivalsa per il doppio abbandono, mirate alla strenua ricerca delle amare cause del rifiuto genitoriale.
È un destino incomprensibile quello dell’arminuta, un tormento al quale dare un’interpretazione risulta soltanto un atto giustificatorio, insufficiente a svelare le ragioni dell’aridità affettiva patita.
Inaspettatamente, però, proprio attraverso la linea di sangue che unisce la protagonista ad alcuni dei suoi fratelli, sarà possibile rivendicare uno spazio vitale all’interno di una famiglia che ha confuso l’accoglienza doverosa verso una figlia legittima con un’intrusione forzatamente illegittima, scomoda.
Angelo Urbano