Dedicato al popolo greco
Questo articolo è dedicato al popolo greco, colpito dalla tragedia immane di diversi incendi. Ma già da anni avvilito e prostrato da una politica mondiale disumana, che ha deciso di diffamarlo agli occhi del mondo ed affamarlo, in modo che svenduto fosse più appetibile, eccolo messo in ginocchio da una tragedia immensa.
Talmente portato alla mancanza di risorse da non avere abbastanza mezzi che potessero soccorrerlo oggi, arginando almeno in parte la tragedia così immensa che si sta consumando.
Si dice che il Poeta è anche un profeta, la cui sensibilità gli permette di guardare lontano.
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Di certo Kavafis è profeta nei versi di cui vi parlo oggi e delinea di fatto una storia, di cui possiamo certamente trarre similitudini con la nostra epoca, così terrorizzata dal timore dell’ “altro” che però, allo stesso tempo, strumentalizza per manovrare l’attenzione della massa. Ci racconta infatti di senatori svogliati, che non legiferano né si impegnano a governare, ponendo come scusa l’imminente arrivo dei barbari, che li liberano dalla responsabilità dell’impegno.
Ma proprio sul più bello della ‘resa conveniente’, potremmo chiamarla, ecco il colpo di scena: niente più barbari a salvare dall’inerzia i senatori pigri e disfattisti! Favolosa come un fuoco d’artificio la chiusa, che culmina con ‘E ora che faremo senza Barbari?’, di cui sembra di sentire il tono affranto.
La Traduzione, ovviamente strepitosa, è di Eugenio Montale e potete trovarla nei ‘Quaderni di traduzione’, edizioni Mondadori, Milano 1975.
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Aspettando i barbari Konstantin Kavafis
«Sull’agora, qui in folla chi attendiamo?»
«I barbari che devono arrivare»
«E perché i senatori non si muovono?
Cha aspettano essi per legiferare?»
«E’ perché devono giungere, oggi, i Barbari.
perché dettare leggi? Appena giunti,
i Barbari, sarà compito loro »
«Perché l’Imperatore s’è levato
di buon ora ed è fermo sull’ingresso
con la corona in testa?»
«E’ che i Barbari devono arrivare
e anche l’Imperatore sta ad attenderli
per riceverne il Duce; e tiene in mano
tanto di pergamena con la quale
offre titoli e onori»
«E perché mai
sono usciti i due consoli e i pretori
in toghe rosse e ricamate? e portano
anelli tempestati di smeraldi,
braccialetti e ametiste? »
«E’ che vengono i Barbari e che queste
cose li sbalordiscono»
«E perché
gli oratori non sono qui, come d’uso,
a parlare, ad esprimere pareri?»
«E’ che giungono i Barbari, e non vogliono
sentire tante chiacchiere»
«E perché sono tutti nervosi? ( I volti intorno
si fanno gravi ). Perché piazze e strade
si vuotano ed ognuno torna a casa?»
«E’ che fa buio e i Barbari non vengono,
e chi arriva di là dalla frontiera
dice che non ce n’è neppure l’ombra»
«E ora che faremo senza Barbari?
( Era una soluzione come un’altra,
dopo tutto… )»
Laura De Santis