L’isola dell’Altrove di Neruda
La Poesia deve essere fatta di carne, sangue, viscere e terra. Le sue vene devono pulsare. Altrimenti è vuota nenia, elucubrazione carina, non tocca, non muove.
Ogni volta che mi imbatto in Neruda sento questo palpito di vita, questo soffio di fuoco muoversi morbido nei suoi versi .Vento, alghe marine, terra, fuoco ma anche pane e vino che lui unisce ad amore e collera nella coppa che dona alla sua donna.
I sogni addirittura, che per definizione, sfuggono a connotazioni con la vita che conosciamo nella veglia e spesso al nostro stesso ricordarli, vengono dipinti in parole di sostanza come rami e radici. Straordinario. Talmente che sull’isola ci siamo. Questa la grandezza della Poesia: il trasportarci nell’ Altrove, pure in apparenza senza compiere un gesto.
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La notte nell’isola, Pablo Neruda
Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell’isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l’acqua.
Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell’alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.
Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
– pane, vino, amore e collera –
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.
Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l’oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d’improvviso
in mezzo all’ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.
Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d’acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall’aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.
Laura De Santis
Immagine: dipinto di Alberto Pancorbo