“Il selvaggio dolore di esser uomini” Pier Paolo Pasolini

“Il selvaggio dolore di esser uomini” Pier Paolo Pasolini

Pasolini è per me un faro, un esempio, un memento di come si vive totalmente, fino a consumare se stessi nell’impiego della propria completa energia, senza risparmio, senza stare sulla difensiva, ma sempre in contatto con il sé, sempre nell’essere chi si è, con le contraddizioni e la complessità che ogni essere umano contiene in sé e lo costituisce.

E’ l’integrazione di tutte queste parti che compie l’essenza di ogni essere umano, il riconoscerle a se stessi. Ci viene insegnata la dissociazione ovunque, in famiglia, a scuola per es. sin da piccoli. Non dire, non fare, addirittura non pensare. Perché il sé profondo del singolo, preziosissimo irripetibile ed unico, deve essere taciuto per non disturbare la confortevole aggregazione sociale. Sovversivo perché si erge ad esempio che tutti potrebbero farlo, ‘soltanto’ considerando lecito il loro sentire.

Pur considerando potenti diverse poesie di Pasolini, non ho dubbio alcuni che la mia preferita da sempre sia questa che vi propongo di seguito.



Lui amava la madre di un amore viscerale ed estremamente protettivo. Destinò a lei il ruolo dolentissimo di Maria, madre di Cristo, nel suo film Il Vangelo secondo Matteo, come una preveggenza di quello che avrebbero attraversato loro stessi solo qualche anno dopo, con la sua morte straziante ad Ostia, come redivivi Cristo e Maria. La madre lo sostenne in tutte le sue scelte sin dall’inizio e durante tutta la sua vita, affiancandolo ed amandolo di puro amore incondizionato.

1963 Roma, Pierpaolo Pasolini nella sua abitazione con la madre Susanna Colussi

Tuttavia ci sono madri e madri ed è chiaro che la viltà e l’accontentarsi delle briciole elemosinate può essere un virus che si trasmette insegnandolo a chi arriva dopo, perpetrandolo come una coazione a ripetere nell’abbassare la testa ed arrendersi a vivere da morti.

Contro questo tipo di madri (ma non potremmo allargare a svariate categorie il farsi portatrici di una tale sventurato morbo dell’anima?!) si scaglia implacabile il Poeta. Solo con questa veemenza è possibile trovare un margine di speranza per il risveglio di anime zombie, irrompendo per opposizione con ciò che circonda. Non si deve essere tenui nella vita, non lo siate. Ne va di voi stessi. Questo il lascito più imponente di quest’uomo deflagrante, che si è fatto esempio fino a pagarne le conseguenze, sempre, nel corso della sua vita ed anche dopo. Ho solo Gratitudine per lui.

 

La Ballata delle Madri

Mi domando che madri avete avuto.

Se ora vi vedessero al lavoro

in un mondo a loro sconosciuto,

presi in un giro mai compiuto

d’esperienze così diverse dalle loro,

che sguardo avrebbero negli occhi?

Se fossero lì, mentre voi scrivete

il vostro pezzo, conformisti e barocchi,

o lo passate, a redattori rotti

a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

Madri vili, con nel viso il timore

antico, quello che come un male

deforma i lineamenti in un biancore

che li annebbia, li allontana dal cuore,

li chiude nel vecchio rifiuto morale.

Madri vili, poverine, preoccupate

che i figli conoscano la viltà

per chiedere un posto, per essere pratici,

per non offendere anime privilegiate,

per difendersi da ogni pietà.

Madri mediocri, che hanno imparato

con umiltà di bambine, di noi,

un unico, nudo significato,

con anime in cui il mondo è dannato

a non dare né dolore né gioia.

Madri mediocri, che non hanno avuto

per voi mai una parola d’amore,

se non d’un amore sordidamente muto

di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,

impotenti ai reali richiami del cuore.

Madri servili, abituate da secoli

a chinare senza amore la testa,

a trasmettere al loro feto

l’antico, vergognoso segreto

d’accontentarsi dei resti della festa.

Madri servili, che vi hanno insegnato

come il servo può essere felice

odiando chi è, come lui, legato,

come può essere, tradendo, beato,

e sicuro, facendo ciò che non dice.

Madri feroci, intente a difendere

quel poco che, borghesi, possiedono,

la normalità e lo stipendio,

quasi con rabbia di chi si vendichi

o sia stretto da un assurdo assedio.

Madri feroci, che vi hanno detto:

Sopravvivete! Pensate a voi!

Non provate mai pietà o rispetto

per nessuno, covate nel petto

la vostra integrità di avvoltoi!

Ecco, vili, mediocri, servi,

feroci, le vostre povere madri!

Che non hanno vergogna a sapervi

– nel vostro odio – addirittura superbi,

se non è questa che una valle di lacrime.

E’ così che vi appartiene questo mondo:

fatti fratelli nelle opposte passioni,

o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo

a essere diversi: a rispondere

del selvaggio dolore di esser uomini.

 

Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano 1964.

 

 

Laura De Santis



 

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