5 poesie da portare con noi per iniziare al meglio il 2019!

5 poesie da portare con noi per iniziare al meglio il 2019!

Ho scelto 5 Poesie da portare con noi nel 2019. Ve le racconto in ordine sparso, sono tutte fondamentali quindi non sono in ordine di classifica. Sono cose che vi auguro, in forma di versi. La Poesia è Necessaria, altroché. Ci guida e nutre

“La valigia dell’emigrante” di Rodari.

Dedicata a coloro che, oltre a dover lasciare i propri paesi di nascita, sfruttati ed in guerra costante, vengono ‘sfruttati’ anche come capri espiatori dai politicanti ‘pigri’. Dedicata a chi si muove e nutre fiducia in questo movimento, a dispetto di tutto.

Non è grossa, non è pesante

la valigia dell’emigrante…

C’è un po’ di terra del mio villaggio

per non restare solo in viaggio…

Un vestito, un pane, un frutto,

e questo è tutto.

Ma il cuore no, non l’ho portato:

nella valigia non c’è entrato.

Troppa pena aveva a partire,

oltre il mare non vuol venire.

Lui resta, fedele come un cane,

nella terra che non mi dà pane:

un piccolo campo, proprio lassù…

ma il treno corre: non si vede più.

‘Il mio sguardo è nitido come un girasole’ di Pessoa

Vi auguro di meravigliarvi, di cambiare prospettiva di osservazione e vedere quanta Bellezza ci era sfuggita prima e di considerare questa una delle più grandi fortune.

Il mio sguardo è nitido come un girasole’

Ho l’abitudine di camminare per le strade

guardando a destra e a sinistra

e talvolta guardando dietro di me…

E ciò che vedo a ogni momento

è ciò che non avevo mai visto prima,

e so accorgermene molto bene.

So avere lo stupore essenziale  

che avrebbe un bambino se, nel nascere,

si accorgesse che è nato davvero…

Mi sento nascere a ogni momento

per l’eterna novità del Mondo…

Credo al mondo come a una margherita,

perché lo vedo. Ma non penso ad esso,

perché pensare è non capire…

Il Mondo non si è fatto perché noi pensiamo a lui,

(pensare è un’infermità degli occhi)

ma per guardarlo ed essere in armonia con esso…

Io non ho filosofia: ho sensi.

Se parlo della Natura, non è perché sappia ciò che è,

ma perché l’amo, e l’amo per questo

perché  chi ama non sa mai quello che ama,

né  sa perché ama, né cosa sia amare…

Amare è l’eterna innocenza,

e l’unica innocenza è non pensare…

“Perché tu possa ascoltarmi” di Neruda.

Ci ricorda la sacralità dell’ascolto e dello scegliere le parole necessarie. Con cura e porgerle con gentilezza

Perché tu possa ascoltarmi

le mie parole

si fanno sottili, a volte,

come impronte di gabbiani sulla spiaggia.

Collana, sonaglio ebbro

per le tue mani dolci come l’uva.  

E le vedo ormai lontane le mie parole.

Più che mie sono tue.

Come edera crescono aggrappate al mio dolore antico.

Così si aggrappano alle pareti umide.

E’ tua la colpa di questo gioco cruento.

Stanno fuggendo dalla mia buia tana.

Tutto lo riempi tu, tutto lo riempi.

Prima di te hanno popolato la solitudine che occupi,

e più di te sono abituate alla mia tristezza.

Ora voglio che dicano ciò che io voglio dirti

perchè tu le ascolti come voglio essere ascoltato.

Il vento dell’angoscia può ancora travolgerle.

Tempeste di sogni possono talora abbatterle.

Puoi sentire altre voci nella mia voce dolente.

Pianto di antiche bocche, sangue di antiche suppliche.

Amami, compagna. Non mi lasciare. Seguimi.

Seguimi, compagna, su quest’onda di angoscia.

Ma del tuo amore si vanno tingendo le mie parole.

Tutto ti prendi tu, tutto.

E io le intreccio tutte in una collana infinita

per le tue mani bianche, dolci come l’uva.

Pablo Neruda

“Ballata delle Donne” di Sanguineti

In un anno pesantissimo per le donne, di attacchi feroci per vari motivi al Femminile, volgiamo l’Attenzione a questa Poesia-capolavoro di Sanguineti, che è un Inno alla Donna, scritta da un Uomo con il massimo della Devozione

Quando ci penso, che il tempo è passato,

le vecchie madri che ci hanno portato,

poi le ragazze, che furono amore,

e poi le mogli e le figlie e le nuore,

femmina penso, se penso una gioia:

pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,

la partigiana che qui ha combattuto,

quella colpita, ferita una volta,

e quella morta, che abbiamo sepolta,

femmina penso, se penso la pace:

pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,

che arriva il giorno che il giorno raggiorna,

penso che è culla una pancia di donna,

e casa è pancia che tiene una gonna,

e pancia è cassa, che viene al finire,

che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra

carne di terra che non vuole guerra:

è questa terra, che io fui seminato,

vita ho vissuto che dentro ho piantato,

qui cerco il caldo che il cuore ci sente,

la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l’umano

la mia compagna, ti prendo per mano.

“Restituzione” di Cortazar  

Per fare spazio al Nuovo è necessario liberarsi di ciò che è stantio. Badate bene: non vecchio ma stantio, cioè che non dà più frutto, che non è più utile. Infatti, pensateci: può esserci qualcosa che dura da anni ed ha linfa e vitalità ed altro che è spuntato ieri e già oggi non ha più senso di essere. Per cui, cari lettori, restituite, lasciate andare e fate spazio al nuovo.

Se della tua bocca non so che la tua voce

e dei tuoi seni solo il verde o l’arancione delle bluse,

come posso iattarmi di avere di te

più della grazia di un’ombra che passa sull’acqua.

Nella memoria porto gesti, la moina che tanto

felice mi faceva, e questo modo di restartene

in te stessa, con il curvo riposo

di una immagine d’avorio.

Non è gran cosa questo tutto che mi resta.

In più opinioni, collere, teorie,

nomi di fratelli e sorelle,

l’indirizzo postale e il numero del telefono,

cinque fotografie, un profumo di capelli,

una pressione di piccolette mani fra le quali nessuno direbbe

che mi si nasconde il mondo.

Questo tutto me lo porto senza sforzo, perdendolo poco a poco.

Non inventerò l’inutile menzogna della perpetuità,

meglio passare i ponti con le mani

piene di te,

tirando via a piccoli pezzi il mio ricordo,

dandolo alle colombe, ai fedeli

passeri, che ti mangino

fra canti, arruffio e svolazzi.

Laura De Santis

Photo by Thought Catalog on Unsplash

 

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