L’elogio dell’infelicità
Continuare a mantenere una certa felicità è un lavorio continuo, che può farci perdere di vista la necessità di un cambiamento.
L’infelicità, seppur negativa, può essere rivalutata come una pinta propulsiva al cambiamento, all’evoluzione. Quella spinta ad agire che produce meravigliose evoluzioni.
La storia moderna e contemporanea ha decretato che ogni uomo dovesse ritenere più importanti le proprie conquiste individuali piuttosto che quelle comunitarie e che dovesse lottare per esse.
Ne sono testimoni tutti quelle ideologie comunitarie che nel corso degli anni hanno trovato sempre meno persone interessate.
L’ideale fondamentale oggi è quindi la cosiddetta ricerca della felicità.
Complice il cinema che promuove l’idea del sogno americano, l’idea dell’happy endig e dai mutamenti politici che hanno sdoganato l’idea della felicità sancita dalla costituzione, ormai siamo assillati dall’idea di dover essere felici.
La ricerca della felicità diventa un lavorio continuo, un porsi sempre vette più elevate ma non realistiche ed essere sempre pronti a monitorare l’andamento delle proprie sensazioni.
Ricerca la felicità è una prova stancante e continua, come il trasportare pietre nel mito di Sisifo.
Proprio questa costante attenzione a quanto siamo felici, fa perdere di vista una lezione di vita molto importante: spesso, quello che spinge a cambiare i destini, a dar inizio al nuovo, non è la felicità, ma la crisi, il senso di non essere felici e di voler voltare pagina, senza essere felici a tutti i costi.
Le situazioni di crisi, quelle temutissime in cui abbiamo paura di smarrirci, sono quelle che cerchiamo ad ogni costo di evitare con questa continua ricerca.
E ci stanchiamo, siamo in continuo movimento senza mai riposo e forse più appesantiti di prima.
Non cogliamo l’idea che l’infelicità che sembra distruggerci, può diventare una forza propulsiva.
Lo psicologo Paul Watzlawick diceva “parliamoci chiaro: cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità? Essa ci è, nel vero senso della parola, dolorosamente necessaria”.
Ed è così.
L’infelicità può trasformarsi in quel motore che spinge al cambiamento, che promuove la crescita e l’evoluzione.
Se l’uomo fosse sempre stato pienamente soddisfatto, oggi non avremmo avuto numerose scoperte che hanno migliorato la nostra vita.
Per fare un esempio, se una persona non fosse stata infelice di vivere per sempre nello stesso luogo, non avesse sentito il richiamo doloroso del partire, nessuno avrebbe scoperto l’America.
Se nessuno avesse provato la tremenda sensazione di perdere qualcuno caro, nessuno si sarebbe impegnato tanto per scoprire i vaccini, la penicillina, le cure contro il cancro.
Nel nostro piccolo possiamo rintracciare situazioni in cui i sentimenti negativi hanno fatto sì che si prendessero delle decisioni, queste una volta messe in atto hanno prodotto effetti talmente positivi che, la situazione prima dell’improvvisa infelicità appaia poi come pericolosa o inutile.
Non si augura a nessuno di essere infelice.
Ma spesso l’infelicità è una cara compagna che può indicarci la necessità di cambiare, di evolvere.
Per cui se ci dovessimo trovare in un momento di infelicità, dovremmo ricordarci di non abbatterci ma di continuare a cercare la strada che la nostra “amica” ci sta indicando.
Valentina Freni