Il libero arbitrio parentale in “Un affare di famiglia” di Kore’eda
Mentre a Verona
sfilano striscioni e feti di plastica accanto ad un appassionato Romeo e sotto il balcone della famosa Giulietta, simboli dell’amore osteggiato dalle famiglie, la mia mente va alla riflessione sul concetto di famiglia di Hirokazu Kore’eda regista del film candidato all’Oscar e vincitore della Palma D’Oro a Cannes, “Un affare di famiglia”
Era da un po’ di tempo che volevo scrivere di questo regista che nella sua filmografia si interroga sul concetto di famiglia e nel rispondere racconta storie intime e delicate, che toccano i nostri sentimenti nel profondo.
Ci sono lavori artistici che superano i propri confini e diventano dei veri e propri saggi filosofici e psicologici perchè aprono delle porte, invitano alle domande e alla riflessione senza dare rispondere preconfezionate.
Già nel film “Father and Son”, Kore’ eda ci ha interrogati sull’idea di genitorialità, tra biologia ed affettività. Genitore è colui ci ha tramandato il patrimonio genetico oppure è colui che ci accompagna nella nostra vita affettiva e relazionale?
“Nonomiya Ryota è un professionista di successo, un uomo che lavora sodo ed è abituato a vincere. Un giorno, lui e la moglie Midori ricevono una chiamata dall’ospedale di provincia dove sei anni prima è nato loro figlio, Keita, e vengono a sapere che sono stati vittima di uno scambio di neonati. Il piccolo Keita è in realtà il figlio biologico di un’altra coppia, che sta crescendo il loro vero figlio, insieme a due fratellini, in condizioni sociali più disagiate e con uno stile di vita molto differente. Ryota si trova di fronte alla necessità di una decisione terribile: scegliere il figlio naturale o il bambino che ha cresciuto e amato per sei anni? ” (MyMovies.it)
Patrimonio genetico vs patrimonio relazionale. Sembra tornare l’eterna diatriba tra genetica e cultura, salvo poi ricordarsi che è stata risolta quando si è compreso che l’una influenza l’altra e viceversa. Alcuni geni infatti possono non esprimersi e rimanere silenti in base al contesto e ai fattori della vita; l’esperienza inoltre influenza l’espressione genetica modificandola. D’altro canto molte cose sono determinate dal nostro substrato genetico che si pone come base di molte caratteristiche sia di ordine fisico che temperamentale.
Il dilemma etico e personale che il film si pone ci porta ad immedesimarci in questi genitori attraversando così tutte le fasi della costruzione di una consapevolezza genitoriale che si nutre di emozioni, turbamenti e limiti umani.
“La famiglia, per definizione, non si sceglie. O forse la vera famiglia è proprio quella che si ha la rara facoltà di scegliere. Libero arbitrio parentale.”
Questo è il tema profondo affrontato nel film Un affare di famiglia, vincitore della Palma D’Oro a Cannes e candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero, continua così la riflessione sulla genitorialità estendendola a tutta la famiglia e ai rapporti di parentela tra i suoi membri.
Il film racconta di una piccola comunità di persone unita da legami di parentela che vive in un umile appartamento…e non aggiungo altro. Purtroppo svelare la trama toglierebbe al film la sua potenza. Il film si sveste pian piano, prende per mano le spettatore che entra in questo piccolo mondo fatto di relazioni ed espedienti per vivere e sopravvivere, rivelando infine la sua natura conflittuale e poetica al tempo stesso.
Il conflitto tra legge morale e legge sociale trasforma la rappresentazione della famiglia in un dramma colorato di nero, che tocca il cuore.
Spero di aver suscitato in voi la curiosità di conoscere il mondo descritto da Kore’eda e il coraggio di porvi anche voi questi interrogativi.
Vi lascio con le parole del regista sul concetto di famiglia:
“[In Giappone]La cosiddetta “famiglia ideale” è considerata oggi un concetto superato. I valori familiari in Giappone si stanno aggiornando, ci stiamo avvicinando a una concezione più moderna della famiglia. Si lavora molto sulla formazione morale dell’individuo e della coppia, altrettanto per riconoscere alle donne un ruolo più attivo nella società. Anche se ci sono ancora troppi uomini che vorrebbero costringere le donne a casa a crescere i figli, sono stati fatti molti passi avanti. Se una donna vuole in Giappone oggi può anche conservare il “cognome da signorina”… Qualcuno sostiene che le ‘nuove famiglie’ non prestino le cure necessarie ai propri figli ma io credo che si potrebbe dire la stessa cosa di quelle tradizionali. Personalmente faccio film sulla famiglia per testarle, indagarle, fare il punto alla luce dei cambiamenti sociali.”
Alessandra Notaro