When They See Us – Il potere negativo dell’etichettamento.
La nuova serie When They See Us di Netflix, riporta alla ribalta un caso di cronaca nera del 1989.
Cinque adolescenti afromericani e ispanici vengono accusati ingiustamente di uno stupro, perché appartenenti a un gruppo etichettato come “bestie, poco di buono”.
Solo dopo anni la verità verrà fuori.
Il 19 aprile del 1989, Trisha Meili, una giovane bianca americana, sta facendo jogging a Central Park.
Nella stessa serata, un numeroso gruppo di ragazzi tra i 13 e 15 anni, provenienti di Harlem, va a Central Park per fare confusione o come riportano loro stessi per “brancheggiare”, trovare dei bianchi che avevano pestato un loro amico, spaventare qualcuno, vandalizzare qualche opera pubblica.
Tra questi ragazzini c’è anche chi era andato al parco seguendo il flusso del gruppo, rimanendo solo a guardare.
Trisha verrà ritrovata in fin di vita all’interno di Central Park, vittima di un aggressione sessuale.
Resterà in coma per 12 giorni, lottando tra la vita e la morte.
Quella stessa notte il branco di ragazzini viene rintracciato e tutti vengono portati nella centrale di Polizia.
Un gruppo di piccoli teppisti e un’aggressione nella stessa notte, nello stesso immenso parco.
Qualcuno collega i due avvenimenti.
Tra quei ragazzini ci sono teste calde, hanno picchiato dei loro coetanei, provengono da un quartiere difficile e sono tutti afroamericani, tranne uno di origine ispanica.
Sono i candidati perfetti per essere dei delinquenti.
La polizia setaccia a tappeto la zona e il quartiere di Herlem, controllando solo afroamericani, sperando di rintracciare altri membri del branco.
Vengono individuati cinque ragazzini: Raymond Santana, Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam e Korey Wise.
Tutti sono convinti che siano stati loro e dopo numerosi interrogatori, spinti a dover dichiarare la verità, confessano l’aggressione e vengono arrestati.
Viene avviato un processo, poi un secondo e i cinque si dichiarano innocenti.
Vengono condannati grazie alla confessione estorta, sebbene le tracce di DNA rilevate sulla vittima e sul luogo del reato non fossero compatibili con nessuno degli imputati.
Nel 2002, dopo anni di battaglie per dimostrare la loro innocenza, vengono finalmente scagionati, grazie alla confessione del vero aggressore.
Questa storia viene raccontata dalla serie Netflix, When They See Us, da poco uscita sulla piattaforma.
Non è una storia di finzione, ma sono eventi realmente accaduti, raccontati in modo chiaro e fedele, come se si trattasse di un documentario.
Assistiamo alle vicende dell’epoca, percependo chiaramente le emozioni dei protagonisti e il clima in cui i fatti si sono svolti.
Un clima caratterizzato da tensione, pregiudizi e stereotipi.
Un sistema giudiziario in cui non viene garantita che la legge sia uguale per tutti, perché se non si appartiene alla maggioranza non si ha diritto di mettere in discussione un’accusa o di provare a dimostrare di essere innocenti.
“Fai parte di quel gruppo, di solito ti comporti male e allora sicuramente hai fatto anche di peggio”.
In maniera automatica etichettati come colpevoli.
Proprio perché When they see us è tratto da una storia vera, possiamo ritrovarci le osservazioni del sociologo Howard Becker.
Becker è diventato famoso grazie alla pubblicazione del volume Outsiders negli anni 60, in cui esponeva Teoria dell’Etichettamento (labelling theory).
Il sociologo, partendo dagli studi sulla società americana, giunge alla conclusione che i gruppi più forti socialmente tendono ad applicare l’etichetta di deviante ai gruppi più deboli, imponendo regole e standard di comportamento differenti da quelli comuni nei gruppi minoritari.
Una volta applicata l’etichetta si considerano queste persone, appartenenti a gruppi minoritari, come outsiders fuori dalle normali leggi del vivere comune.
E ci si aspetta che questi outsiders continuino a violare sempre più norme, non accontentandosi di piccole trasgressioni, ma arrivando a veri e propri crimini.
L’idea alla base è che facendo parte di quel gruppo sicuramente arriveranno a commettere violazioni giuridiche gravi, perché inscritto nella loro appartenenza a quel gruppo.
“Una persona può essere trattata come se avesse infranto una regola anche se non è vero (o si ha solo un vago sospetto) semplicemente perché gli altri (del gruppo più forte) sostengono che la regola è stata violata” (Smelser, 2008)
Questo è quanto è capitato ai cinque di Central Park, semplici teppisti ritenuti colpevoli di uno stupro poiché facenti parti del gruppo definito deviante.
Il pensiero umano lavora secondo euristiche, cioè idee semplici, già note e senza necessità di verifica. I meccanismi del pensiero, anche in maniera inconscia, lavorano per confermare le proprie idee, non vedere aspetti discrepanti e fanno riferimento a informazioni e notizie in linea con le proprie opinioni.
Per tutte queste ragioni i cinque hanno dovuto scontare una pena e per queste ragioni il vero colpevole dell’aggressione a Trisha Meili non è stato identificato per 13 anni.
Questa storia ci invita riflettere prima di esprimere un giudizio;
ci invita a mettere in silenzio la pancia e a usare lo spirito critico;
ci invita a considerare il contesto in cui avvengono i fatti
per evitare di creare sofferenze inutili e a non bloccare l’evoluzione di una persona da un’etichetta.
Valentina Freni
Bibliografia
H. Becker, Outsiders, 1963.
N. J. Smelser, Manuale di Sociologia, 2008.