Greta e la spinta gentile
Il successo di Greta Thunberg e del movimento #FridayforFuture ha attivato comportamenti più virtuosi in un grande numero di individui, molto più che anni di allarmi lanciati da scienziati e divulgatori.
L’impatto di una spinta gentile è molto più forte di recriminazioni e probizioni.
Da quando Greta Thunberg e il movimento #FridayforFuture hanno riscosso interesse, è innegabile qualcosa si sia mosso nella coscienza comune circa l’impatto dei cambiamenti climatici.
Le modifica di atteggiamenti e di scelte di comportamento, non hanno interessato tanto le grandi potenze politiche ed economiche, singoli individui e piccole comunità.
Basti pensare alla vertiginosa crescita delle vendite di borracce di alluminio, da utilizzare al posto di bottiglie di plastica.
O ancora, al grande numero di stabilimenti balneari che, dalla scorsa estate, hanno detto addio alla plastica monouso per servire cibi e bevande.
L’attività di Thunberg e di #FridayforFuture ha fatto sì che un problema di cui gli scienziati ci parlano da anni (basti pensare agli studi sull’ozono degli anni 70) e di cui pochi avevano interesse, diventasse il fulcro di molti dibattiti e azioni.
Una ragazzina seduta di fronte un’istituzione ha avuto un’efficacia maggiore rispetto a pagine e pagine di ricerche scientifiche; di annunci ricchi di allarmi; di comunicazioni di grandi scienziati e pensatori.
Il motivo di tale successo può essere spiegato con una parola inglese: Nudge.
Letteralmente questo termine significa pungolo, in realtà viene utilizzato per definire una “spinta gentile” verso un comportamento socialmente utile ma difficile da attuare.
Sostegni positivi, piccoli o indiretti suggerimenti possono motivare a scelte comportamentali che con maggior efficacia di istruzioni dirette, obblighi o forzature.
“Ogni aspetto nell’architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile senza proibire la scelta di altre opzioni e senza cambiare in maniera significativa i loro incentivi economici. Per contare come un mero pungolo, l’intervento dovrebbe essere facile e poco costoso da evitare. I pungoli non sono ordini. Mettere frutta al livello degli occhi conta come un nudge. Proibire il cibo spazzatura no.” scrivono Thaler e Sustein, tra i maggiori sostenitori della Teoria dei Nudge.
Una ragazzina che senza urlare chiede con fermezza dei cambiamenti, è stata quella spintarella necessaria per pensare a quanto si potesse realmente fare nella vita quotidiana per ridurre l’impatto ambientale.
Anni di fredde dichiarazioni, esposizioni di dati, proibizioni e forzature legali non hanno mietuto lo stesso successo.
Se nel caso di Greta, il successo riscosso ha riguardato maggiormente i singoli individui, ci sono casi in cui un Nudge ha influenzato le scelte di grandi associazioni o imprese.
Prendiamo ad esempio l’attività pioneristica di Elon Musk con le auto elettriche Tesla.
Nonostante la poca diffusione delle Tesla, la discussione che ne è nata al loro lancio ha avuto un forte impatto, tanto da spronare le grandi aziende automobilistiche a lanciare modelli ibridi e a investire nella ricerca sull’elettrico.
Tutto questo, nonostante da anni il mondo della ricerca sull’inquinamento avesse ripetutamente avvisato della necessità di rinunciare all’uso di energie non rinnovabili.
Una spinta gentile ha avviato un mercato.
L’uso di Nudge si sta diffondendo in maniera molto consapevole, per incentivare gli individui a fare le giuste scelte e ad assumere comportamenti virtuosi, non solo nel campo di comportamenti ecologici.
Il New York Times, ha illustrato un piano di Nudging di sostegno al processo di scolarizzazione nelle classi sociali più svantaggiate. I Nudge considerati erano messaggi personalizzati che gli insegnanti inviavano agli studenti per motivarli a continuare gli studi college o ancora l’invio di testi ai genitori da leggere con i ragazzi.
Una spinta gentile può essere più efficace di forzature e proibizioni.
Valentina Freni
Bibliografia
R.Thaler e C. Sustein “Nudge: una spinta gentile” 2009
S. Dynarski “Helping the Poor in Education” – The New York Times 17/01/2015