Come sopravvivere al bisogno di essere perfetti?

Come sopravvivere al bisogno di essere perfetti?

Ci sono delle persone si lanciano in ogni nuovo progetto per migliorare la propria vita- un nuovo regime alimentare, un programma di allenamento, decorazione, ecc.- determinate a non fare le cose a metà, scrive Oliver Burkeman confessando di essere tra quelli. Le cose vanno fatte alla perfezione!

Anch’io progetto e solitamente tendo a farlo in grande, dicendo a me stessa che, seguendo un programma ben organizzato nei tempi, riuscirò a portare avanti l’impegno che mi sono data e raggiungere gli obiettivi. Peccato però che tendo ad iniziare i progetti tutti insieme lasciandomi trasportare dall’entusiasmo iniziale e farmi abbattere dagli ostacoli che incontro, reali o immaginari.

Così mi trovo circondata da progetti (e libri) iniziati e lasciati a metà oppure sono là che mi guardano in attesa, poggiati su uno scaffale a prendere polvere. Chissà se esiste nella letteratura scientifica l’accomulatore seriale di progetti.

Da cosa è data quella propensione a iniziare un progetto e poi abbandonarlo in modo seriale?

Sappiamo che tra i motivi possono esserci la paura di fallire e la fragilità emotiva.

Purtroppo molti di noi sono dei perfezionisti: vogliamo fare le cose fatte bene, ma in realtà quello che cerchiamo è la perfezione per poi sentirci male perchè non siamo all’altezza dei nostri altissimi standard.

Forse sarà stata la Quarantena, ma sembra che anche all’interno della comunità il tutto o niente, l’all-in del poker, si è accentuato ed esteso anche alle cause sociali. Prodotto di questo nuovo sentire comune è forse la cancel culture di cui si è parlato in questi giorni, quel nuovo fenomeno in cui il valore morale dell’individuo gioca un ruolo preponderante sulla sua possibilità di fare arte e cultura.

In realtà il nuovo modello imposto dalla cultura di massa vuole proprio che personaggio privato e pubblico coincidano, che l’idolo sia integro anche all’interno della sua vita domestica.

Come per il perfezionismo gli errori non sono ammessi.

Loretta Ross, un’attivista nera, ha fornito questa definizione: “Cancel culture” è quando “le persone cercano di espellere chiunque non sia perfettamente d’accordo con loro, piuttosto che rimanere concentrate su coloro che traggono profitto dalla discriminazione e dall’ingiustizia”.

Anche qui, come per il perfezionismo le cose vanno fatte bene o niente. Salvo poi non riuscire ad aderire ai propri standard elevati.

Nel perfezionismo il fallimento è la sua naturale conclusione.

Per adattare un’analogia del filosofo austriaco Otto Neurath, siamo come marinai su una nave che molto tempo fa ha lasciato il porto e ora ha urgente bisogno di riparazioni. Ci piacerebbe molto tornare ad attraccare e sistemarla alla perfezione – impostando le nostre vite in modo che siano proprio come le vorremmo – per poter ricominciare il viaggio.

Invece dobbiamo adattarci alla situazione e mettere delle toppe a metà del viaggio e nel miglior modo possibile facendo dei compromessi con le persone che vorremmo essere.

Oliver Burkerman consiglia a quanti sono presi dalla trappola della perfezione un utile spostamento di prospettiva: riformulare la situazione in modo tale da imparare a tollerare il disagio di svolgere le cose in modo imperfetto. Anzi, questo potrebbe diventare già di per sé una sorta di progetto di auto-miglioramento.

Da questo punto di vista, una qualità che definisce l’attivista (o decoratore, organizzatore, o qualunque attività volete intraprendere) di successo è proprio quella di coltivare la capacità di resistere alla perfezione che esigete per voi stessidi assaporare ogni piccola realizzazione come ampiamente preferibile all’unica vera alternativa, ovvero che non si sta facendo niente.

E voi cosa scegliete? Di tornare indietro per sistemare al meglio le vele dalla vostra barca oppure continuare il viaggio mettendo delle toppe dove servono?

L’analogia della nave di Neurath è utile per pensare all’intera questione di come rendere il nostro mondo travagliato un posto migliore.

Come afferma il filosofo Christopher Lebron: “La nave è stata varata con successo ma non è adeguata. Abbiamo del materiale a portata di mano e abbiamo imparato bene come funziona una nave… Non possiamo abbandonarla, perché annegheremo tutti. [Quindi] la miglioriamo lungo la strada, a singhiozzo, con successo e talvolta goffamente. Voglio dire, questo è molto simile al modo in cui funziona una democrazia.”

Alessandra Notaro

Psicologa e Psicoterapeuta

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2 risposte

  1. Gabriella Caiazza ha detto:

    Bellissimo articolo, complimenti!

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