Ricordiamoci di essere umani, disse il poeta

Ricordiamoci di essere umani, disse il poeta

Viviamo in un periodo certamente intenso. Se è vero che scorgiamo segni di disumanità preoccupanti, è altrettanto vero che siamo posti di fronte a noi stessi e al setaccio di quanta umanità conteniamo in noi, ovvero di quanta empatia e compassione siamo in grado di provare di fronte alle sofferenze di un altro essere.

Compassione è parola splendida, purtroppo manipolata nel tempo del tempo. Puliamo ed andiamo alla sua essenza, che è, dal latino, ‘cum patire’ cioè ‘sentire con’, quindi esattamente la capacità di partecipare del sentire altrui.

Personalmente non ho mai avuto problemi ad identificarmi con il sentire altrui (che non sempre è positivo, perché si viene sommersi dal non avere confini. In medias res stat virtus -in mezzo sta la virtù- dicevano i nostri avi) ma non vi è dubbio che attualmente si noti un’anestetizzazione del partecipare al dolore altrui, quando non anche accanirsi su chi è già prostrato dalla sofferenza.



Saba è uno dei diamanti della Poesia italiana, colma di tanta bellezza, da cui potremmo attingere come una miniera vera e propria. Questa sua Poesia è preziosa, delicatissima e ci racconta appunto del condividere la sofferenza di un altro essere vivente.

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Sceglie appositamente la capra (non per esempio un leone o un gatto) per sottolineare il più possibile la vulnerabilità dell’essere umano, percepito ed amato proprio perché si mostra interamente nella sua sofferenza. Sì, esatto: la capra è un escamotage del Poeta per parlare della sofferenza dell’uomo per indicare quanto più possibile la vicinanza a chi soffre (il belato della capra altro non è che il pianto dell’essere umano). L’escamotage è rivelato dall’uso dell’aggettivo ‘semita’: può essere una capra ebrea? Ci domandiamo inizialmente. E’ riferito al Poeta stesso, che era ebreo.

Se un solo essere vivente soffre riguarda tutti, come Saba dice in questi versi splendidamente ed in maniera toccante: ‘Il dolore ha una voce e non varia’

 

La capra di Umberto Saba

Ho parlato a una capra

Era sola sul prato, era legata.

Sazia d’erba, bagnata

alla pioggia, belava.

 

Quell’uguale belato era fraterno

al mio dolore. Ed io risposi, prima

per celia, poi perché il dolore è eterno,

ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva

gemere in una capra solitaria.

 

In una capra dal viso semita

sentiva querelarsi ogni altro male,

ogni altra vita.

Laura De Santis

 

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